Nonostante il suo nome venga tradotto come “coccodrillo” o a volte “squalo” il Wani è uno yōkai della mitologia giapponese nonché l’indiscusso signore e dominatore degli oceani. Si tratta di giganteschi draghi marini dotati di un lungo corpo serpentiforme ricoperto da durissime scaglie.
Questa tipologia di yōkai vive in bellissimi palazzi fatti di corallo, nelle profondità degli oceani e sono organizzati gerarchicamente proprio come le corti reali. Infatti hanno re, regine, principesse, principi, guardie reali, consiglieri ecc. Immaginatevi un intero reame ma sotto l’acqua!
Il Wani gioca un ruolo davvero fondamentale, nella mitologia, per quanto riguarda la fondazione dell’arcipelago giapponese, ma non solo perché una leggenda narra di come il figlio nato da un amore tra una Wani ed un umano, sia diventato il primo imperatore. Nello specifico la storia della principessa Toyotama hime, nota anche come Otohime, il gioiello luminoso del mare, figlia del Re drago del mare Riujin.
Ella si innamorò di un uomo Hoori, nipote della dea del sole Amaterasu e con lui, dopo essersi sposati, decise di vivere nel palazzo di corallo sul fondo degli oceani. La convivenza durò tre anni, ma si dice che quando lui si ammalò iniziò a sentire nostalgia di casa e volle tornare in superficie. Nonostante fosse incinta Otohime decise di seguire l’amato sulla terra. La principessa però era prossima al parto e così fece giurare al marito di non voltarsi a guardarla mentre dava alla luce loro figlio.
Inutile dirvi che la curiosità di Hoori superò la sua promessa. Quando si voltò, in direzione della principessa, vide un grande Wani che cullava il piccolo. Furiosa con lui per aver infranto la promessa ed incapace di perdonarlo, Toyotama hime, tornò al mare e non fece più ritorno. Nonostante questo mandò la sorella Tamayori hime ad occuparsi del piccolo. Una volta cresciuto zia e nipote si sposarono e diedero, a loro volta, alla luce colui che si dice essere stato il primo imperatore del Giappone, Jimmu.
Il nome Wani compare per la prima volta scritto nel kanji 鰐 (usato per indicare squali e mostri marini) e nella trascrizione fonetica 和邇 in due leggende giapponesi, il Kojiki (ca. 680 d.C. Cronache di antichi eventi) e il Nihon shoki (ca. 720 d.C. Annali del Giappone). Dovete pensare che il mare, in tempi antichi, era un luogo sconosciuto e pericoloso, ancora più di oggi, e quindi i marinai dovettero identificare gli squali con i mostruosi yōkai delle leggende. Il termine “drago marino” venne così man mano abbandonato.