Vi piace il Sakè? A noi tanuki molto, ma cosa sappiamo effettivamente di questa bevanda? Intanto che la parola “sakè” è un po’ impropria, sebbene sia la più famosa, nel senso che letteralmente significa “bevanda alcolica”. Il vino di riso in questione invece è conosciuto in Giappone come nihonshu (日本酒 “liquore giapponese”). Secondo poi la Japan Sake & Shochu Makers Association il sakè, all’inizio del VII secolo, veniva preparato utilizzando la muffa. Verso la metà del periodo Heian (X secolo), i produttori di sakè continuarono ad utilizzare proprio questo metodo di fermentazione del riso, che è ancora in uso oggi.
Nel periodo Muromachi (XIV-XVI secolo) invece il sakè veniva sterilizzato mediante riscaldamento, in un processo simile alla pastorizzazione. Fu poi stabilito, sempre in questo periodo, che il metodo di produzione dovesse essere proprio quello con l’utilizzo della muffa, che è unico in Giappone. Questo metodo tradizionale di produzione, tramandato di generazione in generazione fino ad oggi, è stato designato come una delle proprietà culturali immateriali del Giappone nel dicembre 2021.
E’ bene però fare un po’ di chiarezza, dicendo che il termine Koji, è un termine generico che sta ad indicare praticamente “sostanza su cui nasce una muffa”, ma la vera trasformazione del riso la fa la spora Aspergillus oryzae. Ok, basta robe tecniche, non fanno per me!
Dovete sapere che le persone coinvolte nella produzione del sakè sono chiamate kurabito, mentre la persona che le supervisiona è chiamata tōji, o mastro. Il compito del tōji è supervisionare l’intero sistema di produzione del sakè, ma è anche responsabile delle parti chiave del processo di fermentazione, come decidere per quanto tempo il riso deve essere messo a bagno e tenere d’occhio la fermentazione del moromi (una sostanza liquida fermentante, precursore del sakè) o la muffa del koji. Svolgono anche un ruolo importante nel determinare il tipo di gusto a cui mira il produttore.
Sebbene inizialmente l’ambiente in cui viveva il tōji, non era molto attrattivo per le donne, poiché il kurabito dormiva e lavorava nella “sakeria”, oggi stiamo assistendo a un numero crescente di tōji femminili. Nonostante tuttavia siano ancora relativamente poche le donne nel mondo della produzione di sakè, alcune stanno svolgendo un ruolo molto attivo nel settore. Esempio lampante è Mako Yoshida, la tōji più giovane del mondo (nel 2018). La ragazza, poco più che ventenne, è proprietaria, nonchè mastro, di una “sakeria” di Hiroshima, che ha attirato l’attenzione di tutto il mondo, producendo diversi famosi tipi di sakè, dopo aver studiato microbiologia all’università. Questa “sakeria” è attiva sin dal periodo Edo! Chissà se fanno assaggiare qualcosa a dei poveri tanuki assetati…